Detenzione domiciliare cd. speciale: per la Cassazione va negata alla detenuta pericolosa e incapace di accudire i figli minori

Detenzione domiciliare cd. speciale: per la Cassazione va negata alla detenuta pericolosa e incapace di accudire i figli minori
21 Dicembre 2017: Detenzione domiciliare cd. speciale: per la Cassazione va negata alla detenuta pericolosa e incapace di accudire i figli minori 21 Dicembre 2017

IL CASO. Con ordinanza in data 10.11.2016 il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva rigettato la richiesta di detenzione domiciliare cd. speciale (prevista dall’art. 47 quinquies della L. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario) avanzata da una detenuta, sul presupposto che difettassero, nel caso di specie, “le condizioni strutturali di applicabilità del beneficio, giacché, nei confronti della condannata, era elevato, da un lato, il rischio di recidiva e, dall’altro, non ricorrevano le condizioni che potessero permettere all’istante di accudire i figli minori, in ragione delle sue condizioni psichiche”.

Avverso tale decisione sfavorevole la detenuta aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando l’illegittimità del provvedimento impugnato, perché, a suo dire, “si sarebbe dovuta, invero, concedere la misura invocata, … avendo il legislatore posto nell’istituto il centro della tutela dell’interesse preminente del minore, che era prevalente su ogni altro aspetto e anche su quelli di difesa sociale”.

LA DECISIONE. La prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 53426/2017, nel rigettare il ricorso, ha colto l’occasione per sottolineare come l’“ordinamento penitenziario [abbia] avuto cura di assicurare particolare attenzione alla maternità delle detenute ed all’infanzia coinvolta nelle vicende carcerarie dei genitori” con “i servizi speciali offerti alle gestanti (art. 11 O.P.), la possibilità offerta alle madri di tenere presso di sé i figli fino a tre anni, l’organizzazione possibile di asili nido negli istituti di detenzione, la semilibertà offerta alle madri di prole di età inferiore a tre anni (art. 50 O.P.) … l’introduzione della detenzione domiciliare (art. 47 ter O.P.)”, nonché con la “detenzione domiciliare speciale” (art. 47 quinquies O.P.).

In particolare, la Cassazione ha precisato che quest’ultimo beneficio viene concesso in presenza dei seguenti presupposti, “che in positivo e in negativo devono ricorrere congiuntamente”: “la condannata deve essere madre di prole di età non superiore ad anni dieci e non deve sussistere un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. Deve, altresì, ricorrere la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli e la detenuta deve aver espiato almeno un terzo della pena ovvero quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo”.

Ed ha sottolineato come tali presupposti dimostrino come “al centro delle finalità” della misura alternativa de qua vi sia la “salvaguardia del rapporto genitore-figli e, soprattutto, [la] tutela dello sviluppo psicofisico del minore”, tanto che il giudice, nel contemperare i diversi interessi, deve prediligere “sin dove possibile le esigenze di tutela e di crescita del minore stesso”.

Ciò significa che “l'interesse del minore, indubbiamente centrale nella struttura della disposizione non si sottrae, comunque, ad un bilanciamento razionale con le ulteriori esigenze che … egualmente affiorano e con quella legata alle esigenze di difesa sociale in una logica che, d'altro canto, richiede una verifica comparativa complessa che tenga anche conto in concreto della effettiva possibilità, da parte dei minori di età, concessa la misura alternativa, di fruire delle cure materne. Affinché ciò accada, tuttavia, occorre che il genitore sia effettivamente nelle condizioni di poter riprendere il rapporto con i figli e di poter prestare realisticamente le cure parentali”.

Nel caso di specie, la Cassazione ha rilevato che il Tribunale di sorveglianza di Palermo da un lato aveva ritenuto “ricorrente il pericolo di reiterazione dei reati” da parte della donna, richiamando “il ruolo di primo piano [da lei] assuntonel sodalizio criminale”, che induceva “a ritenere che non si potessero escludere legami con altri appartenenti alla criminalità organizzata e che si rendeva sussistente un profilo di pericolosità sociale, già di per sé ostativo alla concessione del beneficio invocato”.

D’altro lato ne aveva “valorizzata, in senso negativo, la condizione psicologica”, trattandosi di “soggetto affetto da disturbo delirante e trasferito, presso l'ospedale …., servizio psichiatrico, in TSO a causa di delirio di persecuzione, grave agitazione psicomotoria e rifiuto di qualsiasi approccio terapeutico”, condizione questa che “non le permetteva viepiù di riprendere la convivenza con la figlia minore, accudendola e curandola nel migliore dei modi”.

La Corte di Cassazione ha concluso che tali aspetti fossero stati “correttamente valutati” dal Tribunale di sorveglianza di Palermo “come ostativi al riconoscimento del beneficio invocato e che non avrebbero permesso la ripresa della convivenza della ricorrente con le di lei figlie” ed ha, pertanto, rigettato il ricorso.

   

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